Indicazioni per le celebrazioni liturgiche con il popolo

In vista della graduale ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo a partire dal 18 maggio prossimo, l’Arcivescovo chiede di attenersi fedelmente ad alcune indicazioni per una corretta applicazione del Protocollo firmato dal Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, dal Presidente del Consiglio e dal Ministro dell’Interno il 7 maggio 2020.

Di seguito vengono riportate le indicazioni principali utili ai fedeli per una corretta partecipazione alla celebrazione, ma potete trovare il documento completo nella sezione ‘Documenti‘.

PREPARAZIONE DELLA CELEBRAZIONE

  • il mantenimento delle distanze di sicurezza per il posizionamento di ogni fedele (almeno un metro laterale e frontale: si tenga presente che le distanze possono variare se non tutti assumono contemporaneamente la stessa posizione, come lo stare in piedi, in ginocchio, seduti); coloro che abitano insieme possono posizionarsi sulla stessa panca, ma non vanno ad alterare il numero della capienza possibile (all’ingresso saranno conteggiati come singoli fedeli che entrano nel luogo della celebrazione);
  • è bene ricordare, secondo il n° 2181 del Catechismo della Chiesa Cattolica, che “i fedeli sono tenuti a partecipare all’Eucaristia nei giorni di precetto, a meno che siano giustificati da un serio motivo, per esempio, la malattia, la cura dei lattanti, o ne siano dispensati dal loro parroco (CJC 1245)”
  • anche in considerazione delle sollecitazioni che in questa emergenza ci vengono fatte, affinché le persone più vulnerabili rimangano al sicuro a casa, si invitino anziani e malati a restare nelle proprie abitazioni, seguendo la celebrazione eucaristica trasmessa dai canali televisivi e da altri mezzi di comunicazione sociale
  • le acquasantiere devono rimanere vuote
  • non vanno lasciati nel luogo della celebrazione foglietti, libretti dei canti, libri di preghiere e/o altro materiale, cartaceo e non, che può essere veicolo di contagio

L’ACCESSO AL LUOGO DELLA CELEBRAZIONE

  • per l’accesso al luogo della celebrazione, in chiesa o all’esterno, è necessario evitare assembramenti ed occorre mantenere sempre la distanza di sicurezza, che in questo momento, come pure all’uscita, deve essere di un metro e mezzo; se disponibili, usare più porte per differenziare percorsi di ingresso e di uscita
  • in prossimità dell’accesso occorre che ci siano dei volontari – maggiorenni, muniti dei dispositivi di protezione e di un segno di riconoscimento (pettorina, badge…) – per favorire un ingresso ordinato, controllare che tutti abbiano la mascherina e vigilare sul numero delle presenze consentite in base alla capienza del luogo (è allo studio un sistema di controllo elettronico per il numero degli accessi, appena possibile vi daremo indicazioni più precise); uguale azione di controllo sarà necessaria per l’uscita dalla celebrazione; per questo servizio, oltre ai collaboratori parrocchiali, si invita a contattare il personale della Misericordia e/o gli scout dell’AGESCI, eventualmente presenti sul territorio, che si sono resi disponibili a questo servizio
  • si favorisca l’accesso delle persone diversamente abili, prevedendo per loro un luogo apposito per la partecipazione alla celebrazione
  • in prossimità dell’accesso sia disponibile il liquido igienizzante, di cui i fedeli potranno servirsi se lo riterranno opportuno

DURANTE LA CELEBRAZIONE

  • entrando nel luogo della celebrazione i fedeli prendano posto nei luoghi indicati, a cominciare da quelli più vicini al presbiterio, ed evitino spostamenti non strettamente necessari
  • il numero di eventuali concelebranti e diaconi va commisurato allo spazio disponibile nel presbiterio, in modo da consentire il distanziamento di almeno un metro, tenendo presente i movimenti previsti dal rito; la presenza di accoliti, ministri, lettori, cantori e organista deve essere ridotta al minimo indispensabile per una celebrazione che risplenda per nobile semplicità (a titolo di esempio: in questo periodo è bene evitare la presenza di più lettori); non è ammessa la presenza del coro nella forma di gruppo unito, ma solo di eventuali singoli cantori tra loro debitamente distanziati; la processione offertoriale va omessa
  • anche ai ministri, laici e presbiteri concelebranti, è richiesto di rispettare sempre la distanza di sicurezza di almeno un metro e di portare la mascherina; il lettore, il diacono o il presbitero che si appresta alla proclamazione, può abbassare la mascherina
  • anche per uscire dal luogo della celebrazione occorre evitare assembramenti, mantenendo la distanza di sicurezza di un metro e mezzo; conviene che i primi ad uscire siano i più vicini agli accessi

LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

  • per la raccolta delle offerte si esclude la modalità consueta durante la celebrazione, ma si dispongano cestini o contenitori appositi in prossimità dell’ingresso e dell’uscita, con la presenza di alcuni volontari a presidiare; si informino i fedeli, prima della presentazione dei doni, spiegando l’importanza di un sostegno economico, soprattutto in questo momento di emergenza sanitaria, sia per le esigenze della parrocchia che per le famiglie più bisognose e i poveri in genere
  • nella celebrazione eucaristica si omette il gesto dello scambio della pace e la Comunione può essere distribuita unicamente sulla mano, anche a coloro che eventualmente indossano guanti protettivi
  • circa la modalità della distribuzione della Comunione, se la disposizione del luogo lo consente e ci sono corridoi per raggiungere tutti, potrà essere il ministro a recarsi presso ciascun fedele; diversamente, i fedeli formino la processione per ricevere la Comunione stando attenti ad utilizzare alcuni corridoi per accedere al presbiterio, ed altri per ritornare al proprio posto; in entrambi i casi si ricordi di rispettare sempre la distanza di almeno un metro e mezzo
  • dopo che il ministro proclama “Corpo di Cristo”, il fedele risponde “Amen” avendo ancora la mascherina sul volto; dopo che si è spostato, il fedele abbassa la mascherina con una mano, con la stessa assume il corpo di Cristo e dopo rialza la mascherina; si ricordi di verificare l’eventuale presenza di frammenti e di assumerli con decoro

Si ricorda che il documento completo è disponibile nella sezione ‘Documenti‘.

Settimana Santa

Sussidio di preghiera, messo a disposizione dall’Ufficio Liturgico Nazionale, per offrire alle famiglie e ai singoli uno schema di celebrazione domestica della Settimana Santa, in comunione con le celebrazioni del Mistero pasquale che si svolgono nelle chiese cattedrali e parrocchiali, senza concorso di popolo. L’invito è a fare della propria casa uno spazio di preghiera e di celebrazione.

Con lo sguardo a Gesù, crocifisso e risorto

Lettera dell’arcivescovo per la Pasqua 2020 in tempo di pandemia

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Carissimi fratelli e sorelle,
la pandemia che sta sconvolgendo il nostro Paese e il mondo è entrata all’improvviso con i suoi effetti anche nelle nostre vite e ci ha costretto a mettere da parte comportamenti consolidati e a dare forma nuova alle nostre giornate. Tutto è stato travolto, dalle cose più banali, come non poter fare una passeggiata o andare a mangiare una pizza con gli amici, fino a quelle più sostanziali, come non poter più abbracciare i nostri cari, visitare gli anziani o dare un aiuto di persona a un povero. Ne è stata toccata anche la vita spirituale di noi cristiani, privata delle celebrazioni dell’assemblea del popolo di Dio con i suoi pastori. Questi hanno continuato a celebrare in questi giorni, ma senza la presenza viva dei fedeli attorno a loro, sebbene la fede ci dica che ogni Messa è celebrazione della Chiesa e ha un valore universale, sempre e comunque.

E ora giunge la Pasqua. Ho pensato che come vescovo non potevo non dire una parola di orientamento e di conforto al mio popolo. Lo faccio con la consapevolezza che il legame tra noi non è stato compromesso dalla lontananza che ci è stata imposta e che ho cercato di supplire con riflessioni sulla parola di Dio e con preghiere di affidamento al Signore e alla sua e nostra Madre, trasmesse con i moderni mezzi di comunicazione. Soprattutto la mia vicinanza vi è assicurata dai miei e vostri preti. che continuano ad essere presenti alle comunità, anch’essi con modalità nuove. Ma, ormai verso la Pasqua, sento che devo dirvi una parola specifica, anzi un po’ di parole, che ho provveduto a dividere per argomento, così che si possano leggere anche in momenti diversi.

1. Come vivere la Settimana Santa

Comincio da una domanda che mi viene posta spesso in questi giorni: come potremo vivere la Settimana Santa mentre continua ad esserci impedito di vivere le celebrazioni liturgiche insieme? Sappiamo che questo sacrificio lo stiamo facendo per responsabilità sociale, anzi come un atto di carità verso i nostri fratelli più fragili, che verrebbero travolti dall’ulteriore diffusione del virus, come pure verso coloro che se ne prendono cura, nella sanità e nel volontariato, a cui non possiamo chiedere di caricarsi di ulteriore fatica in un impegno giornaliero già molto gravoso. La nostra rinuncia è un atto di carità: non lo dimentichiamo! È esprimere nella vita quella carità che è il cuore e il frutto dei sacramenti.

Ecco, allora, una riflessione sul significato della Settimana Santa, a cui dobbiamo volgere il nostro sguardo e che dobbiamo tenere vivo nel nostro cuore, al di là dei modi in cui potremo viverla.

La Settimana Santa, e in essa in particolare il Triduo pasquale, costituisce la sorgente da cui scaturisce tutta la vita liturgica della Chiesa e quindi la trasmissione della grazia, dell’amore di Dio per gli uomini attraverso i segni che Cristo ha affidato ai suoi discepoli. Gli eventi di cui si fa memoria in questi giorni costituiscono il contenuto di ogni celebrazione domenicale. Così abbiamo ascoltato dall’“Annuncio del giorno della Pasqua”, nella solennità dell’Epifania: «Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua. In ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte».

A introdurre il Triduo è la Domenica delle Palme e della Passione, in cui in un solo rito vengono eccezionalmente proclamate due pagine del vangelo, che segnano il cammino di Gesù dall’ingresso trionfale in Gerusalemme, alla sua uscita dalla città per essere crocifisso sul Golgota. Il Messia, acclamato dalle folle, svela il suo volto di Salvatore degli uomini non nel rivendicare un potere umano, ma nell’offrirsi alle sofferenze della Passione, fino a sfidare la morte come prova suprema del suo amore. L’attualità di questo messaggio è nel sentirsi chiamati anche noi a condividere con Gesù l’offerta di sé per i fratelli, pronti a rinunciare a tutto, fino alla vita, anche noi per amore, solo per amore.

Il Triduo prende poi avvio nella sera di Giovedì Santo, con la memoria della Cena di Gesù con i discepoli, segnata anzitutto dalla lavanda dei piedi – che quest’anno non potremo rievocare come gesto, ma che, proprio per questo, ci interroga ancor più profondamente nel suo significato di umile servizio, che sconvolge tutte le gerarchie umane: «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi…» (Gv 13,14). La cena, poi, trova il suo culmine nel segno reale della presenza e del dono di sé che Gesù affida per sempre a un po’ di pane e di vino, che diventano la permanenza sostanziale di lui, il Signore, con noi e in noi per sempre: egli non è semplicemente un compagno di viaggio, ma una presenza dentro di noi che, accolta, diventa fonte di vita nuova in noi, una vita come la sua. Un dono e un impegno. Lo spiega Gesù stesso nei discorsi che fanno seguito a quella cena, affidandoci il comandamento nuovo – «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12) – e affidando noi al Padre, per renderci capaci di testimoniare il suo Vangelo nel mondo – «Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. […] Consacrali nella verità» (Gv 17,15.17) – e perché siamo in grado di essere un riflesso di Dio e del suo amore – «Tutti siano una sola cosa, come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21) –; tutto fondato non sulle nostre risorse, ma sull’amore di Gesù per noi. Ce n’è per motivare una rinnovata attenzione verso tutti, in particolare per chi in questa situazione di pandemia rischia di rimanere travolto dalla crisi economica, andando ad allargare le fila di coloro a cui manca il necessario. La loro presenza non può mancare alla tavola eucaristica del nostro impegno di carità.

Nel Venerdì Santo, la proclamazione della Passione ci pone davanti al mistero della sofferenza del Crocifisso, invitando a cogliere in profondità l’umiliazione a cui Cristo soggiace nel suo misurarsi con il peccato del mondo per redimere l’umanità:

«[Cristo Gesù] pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,6-8). La memoria della Passione è accompagnata da una preghiera universale, in cui si raccolgono tutte le attese della Chiesa e del mondo e che termina con l’invocazione “per i tribolati”, quest’anno introdotta così: «Preghiamo, fratelli carissimi, Dio Padre onnipotente, perché liberi il mondo dalle sofferenze del tempo presente: allontani la pandemia, scacci la fame, doni la pace, estingua l’odio e la violenza, conceda salute agli ammalati, forza e sostegno agli operatori sanitari, speranza e conforto alle famiglie, salvezza eterna a coloro che sono morti». Al volto sofferente di Cristo devono unirsi nel nostro cuore i volti dei “poveri cristi” che soffrono nella malattia e di quanti, come la Veronica, si chinano con compassione su chi soffre e si spendono nel prendersi cura dei malati e dei poveri. La visione della violenza che si abbatte su Gesù deve risvegliare le nostre coscienze anche a non dimenticare le vittime delle ingiustizie e delle violenze che si consumano nel mondo. Infine, la liturgia invita ad adorare la Croce, riconoscendo in essa non solo uno strumento di morte, ma anche e soprattutto lo strumento della nostra salvezza, la chiave della porta dell’eternità, la misura del supremo atto d’amore del Signore per noi.

Nel Sabato Santo, il silenzio circonda il Crocifisso sepolto, tolto ai nostri occhi, ma non all’attesa del nostro cuore, per il quale il sepolcro non indica un’assenza ma una nostalgia. C’è qualcosa che avvicina il silenzio del Sabato Santo a questi giorni, anche se si tratta di un silenzio diverso: sono giorni vuoti di ciò che era solito occupare ieri il nostro tempo, spesso ahimè sciupato in cose di poco conto e schiavo di falsi bisogni e di esperienze alienanti; giorni a cui fatichiamo a dare un senso, ma che, se vissuti oltre l’apparenza, possono aiutarci a discernere tra ciò che è essenziale e ciò che non lo è, tra gli affetti veri e i legami superficiali, tra servire i fratelli e servirsene o lasciarsi asservire, tra aprire il nostro sguardo oltre le cose visibili e rimanere schiavi del qui e ora; giorni in cui, soprattutto, possiamo riscoprire il desiderio di una pienezza che solo l’infinito ci può dare. L’attesa del Sabato Santo sia per noi l’attesa di Dio, della sua presenza nella nostra vita, di lui come l’unica luce che la può illuminare.

È la luce che sfolgora nella Veglia pasquale, nel cero, segno di Gesù, luce nelle tenebre dell’umanità, come canta l’“Exsultet”: «Questa è, la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo dall’oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, li consacra all’amore del Padre e li unisce nella comunione dei santi. Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro». Questa è la Pasqua: nella morte e risurrezione di Cristo ci è dato il potere di sconfiggere il peccato e la morte, vale a dire di contribuire a edificare questo mondo secondo il progetto di Dio e, insieme, di proiettare la nostra vita oltre il tempo, nell’eternità; tutto questo perché siamo resi partecipi dell’amore stesso del Padre. Questo è il dono che ci è stato consegnato nel Battesimo, di cui nella Veglia pasquale si fa memoria con il rinnovo delle promesse battesimali. Mistero pasquale e sacramento del Battesimo devono poi diventare vita, nella testimonianza concreta della gioia dell’incontro con l’amore del Padre, della comunione fraterna che scaturisce dalla medesima figliolanza divina, della forza che l’amore accolto ci dona per farci costruttori di vita nel mondo. A nutrire la gioia deve essere una fede coraggiosa; ad alimentare la comunione ci vuole una carità senza riserve; a sostenere l’impegno per porre i semi del regno di Dio nella storia avremo bisogno di una salda speranza.

Se avremo vissuto con questi sentimenti il Triduo pasquale potremo attendere che anche per noi si realizzi quanto la liturgia della Domenica di Pasqua fa chiedere al Padre: «O Padre, che in questo giorno, per mezzo del tuo unico Figlio, hai vinto la morte e ci hai aperto il passaggio alla vita eterna, concedi a noi, che celebriamo la Pasqua di risurrezione, di essere rinnovati nel tuo Spirito, per rinascere nella luce del Signore risorto».

Ho voluto condividere con voi questi pensieri, offerti come un itinerario per questi giorni. Non potendo compiere i gesti esteriori della partecipazione ai riti, non manchi questa partecipazione della mente e del cuore, per tenerci uniti a quanto il Padre ha fatto per noi nel suo Figlio e a vivere la comunione tra noi in un legame spirituale che la separazione fisica non deve distruggere, ma piuttosto rafforzare, in vista di quando potremo e dovremo dare più profondo significato, più viva partecipazione e più concreta proiezione nella vita alle celebrazioni assembleari che riprenderemo non appena ce ne verrà data la possibilità.

Esorto i preti a celebrare in questi giorni con la stessa dedizione con cui avrebbero celebrato con il loro popolo, che se non potranno avere nelle loro chiese avrà senz’altro spazio nel loro cuore, sapendo che esso è misticamente presente nel mistero celebrato in quanto atto ecclesiale e mai privato. Esorto i diaconi e quanti sono chiamati a servire all’altare a svolgere il loro servizio con dedizione, perché il rito mantenga la sua dignità: si celebra davanti al Signore, che ci siano o non ci siano i fedeli, che si sia in pochi o in tanti. Esorto i fedeli a unirsi spiritualmente alle celebrazioni, avvalendosi anche della possibilità di seguire quelle del Santo Padre, trasmesse dalle reti televisive, in particolare Tv2000, e poi quelle che, collocate appositamente in orari diversi, presiederò nella nostra Cattedrale, visibili nei siti della diocesi, di Toscana Oggi e di Radio Toscana. Agli stessi fedeli, in particolare alle famiglie, segnalo che la diocesi sta diffondendo sussidi per la preghiera in casa, legati a contenuti e gesti delle celebrazioni liturgiche, che vengono trasmessi ai parroci. Pregare in casa in questi giorni ci aiuterà a riscoprire la preghiera in famiglia, che non mancava mai un tempo nelle famiglie cristiane.

2. Al centro della nostra preghiera

E ora un pensiero che vuole abbracciare tutti coloro che vivono questi giorni di Pasqua in una inattesa sofferenza o in un difficile servizio.

Il pensiero e la preghiera sono anzitutto per i tanti morti di questi giorni, a cui non abbiamo potuto assicurare i gesti usuali della liturgia cristiana, ma che nessuno deve pensare che siano lontani dalla preghiera della Chiesa, oggi nella preghiera silenziosa e quando ce ne verrà data la possibilità nelle forme proprie della preghiera della comunità. Ci sentano vicini nella condivisione del dolore le loro famiglie, che spesso sono state separate dai loro cari nella fase più acuta della malattia e negli istanti della morte. Le sorregga la certezza che c’è una comunione dei cuori che la lontananza fisica non spegne.

Il nostro pensiero raggiunge tutti i malati, soprattutto quelli a cui, nelle terapie intensive, sono sottratti i consueti contatti con le persone care, pur non mancando loro l’attenzione umana di tanti medici e infermieri. Anche la cura pastorale verso di loro da parte dei nostri cappellani ospedalieri è sottoposta a limiti; quando non è possibile raggiungerli accanto al letto, siano certi che essi non mancano però di vegliare e pregare oltre le porte e i vetri che proteggono le azioni di cura sanitaria. A tutti i malati vogliamo dire che preghiamo con loro e per loro, così come in questi giorni più volte ha fatto e ci ha esortato a fare Papa Francesco. Sono loro ora al centro del cuore della Chiesa.

Attorno a loro si muovono con professionalità e dedizione medici, infermieri e personale ausiliario della nostra sanità e del volontariato. Il loro è un servizio di cura indispensabile e pieno di pericoli per le loro stesse persone. Verso di loro si rivolge la nostra considerazione e la nostra gratitudine, insieme alla preghiera al Signore perché siano sostenuti nella loro fatica.

Gratitudine e preghiera vogliamo riservare anche a chi governa e amministra il nostro Paese, le nostre regioni e città. Le decisioni che devono assumere, spesso pesanti per i cittadini, accompagnate da conseguenze non facilmente decifrabili sulle persone e sul futuro, anche economico, della nazione, siano sempre illuminate dai principi che fondano il vivere civile: equità e attenzione privilegiata ai più poveri, solidarietà e sussidiarietà, ricerca del bene comune.

Pensiero e preghiera abbracciano anche tutti coloro che si trovano a vivere negli spazi ristretti come previsto dalle norme emanate per evitare la diffusione del contagio. Le nostre famiglie, anzitutto, e in particolare i bambini e i ragazzi, a cui è negata la possibilità del gioco e trovano ostacoli nei normali percorsi scolastici. Vicini al nostro cuore sono anche gli anziani e i disabili ospiti delle residenze sanitarie o di altre realtà di accoglienza e di cura, costretti a un isolamento che rischia di far sentire lontani i loro cari, alcuni aggrediti dal virus che si accanisce particolarmente su chi ha già altre patologie, senza dimenticare chi li assiste, uomini e donne chiamati a un impegno ogni giorno più faticoso. Al nostro pensiero e al nostro cuore sono inoltre ben presenti i detenuti, già ristretti per la natura della loro pena e per le condizioni spesso disumane delle carceri e ora particolarmente minacciati da un virus che, qualora entrasse nelle celle, sarebbe una inesorabile minaccia alla loro vita e il presupposto di una rovina dell’intero sistema. Per loro, oltre che vicinanza e preghiera, si chiede a chi ha l’autorità provvedimenti che possano almeno ridurre le condizioni di sovraffollamento.

3. Una prospettiva per il presente, ma guardando al futuro come a un dono

A chiudere questa lettera un pensiero che vuole al tempo stesso fare discernimento sul presente e orientarci già verso il futuro. Eravamo così sicuri di noi stessi, del modello di uomo e civiltà che andavamo costruendo, che abbiamo pensato fino ad oggi di essere invulnerabili, così forti nella nostra volontà di potenza, nel pensare di poter tradurre ogni desiderio in un diritto, di poter estendere i confini del nostro dominio.

Ma la presunzione di garantirci ed essere garantiti, si è scontrata in questi giorni con un’acuta esperienza di fragilità e precarietà. E aver scoperto che non tutto ci può essere garantito, tanto meno la vita, può essere vissuto precipitando nella disperazione, oppure scoprendo che se nulla mi è dovuto, allora tutto quello che ho è un dono.

È un dono anzitutto che stiamo a questo mondo, che la nostra vita si sia accesa nel tempo per incamminarsi verso l’eterno. È un dono ogni giorno che si apre davanti a noi come uno spazio di possibilità da riempire con responsabilità. È un dono il tessuto comune di umanità che tutti ci unisce e ci impedisce di vagare nella vita senza riferimenti. Proprio la percezione che tutto questo è così fragile, come si sperimenta in questo tempo, in cui i più sfortunati vedono messa a rischio la vita e tutti siamo costretti a modificarne radicalmente le forme, a causa delle doverose rinunce a cui dobbiamo sottostare per il bene nostro e di tutti, ci dovrebbe far capire che nulla è scontato e che tutto è un dono: lo è la vita, lo è un cielo luminoso, l’abbraccio di un genitore, l’affetto tra due sposi, la possibilità di conoscere cose nuove, il sostegno che ci viene da un fratello e quello che noi offriamo a lui, per chi crede la presenza di un Dio che è amore. Tutto è dono.

E il dono di questi tempi difficili deve essere cambiare i nostri occhi e il nostro cuore e, a cominciare da oggi per continuare dopo, a vivere con negli occhi lo stupore e nel cuore la gratitudine. Ma la consapevolezza di vivere nel dono deva anche far maturare la responsabilità di farci dono agli altri. Sarà questo un compito assai impegnativo per il futuro che ci attende, in cui la crisi economica coinvolgerà imprese e persone, con inevitabili conseguenze di tenuta familiare e sociale, anche di equilibrio psicologico e spirituale. Uno scenario in cui ci si dovrà inventare forme nuove di carità ma anche, più al fondo, sarà necessario superare l’attuale modello economico dominante per ripensare il mondo della produzione e del lavoro, quello degli scambi commerciali, come pure quello della finanza in senso più solidale.

Operare in noi e tra noi questa rivoluzione dello sguardo e delle opere trasformerà questi giorni tristi in un tempo di grazia. Ne potrà scaturire una vita nuova, un mondo rinnovato. È la Pasqua del Signore. La presenza di Dio tra noi è seme di un mondo nuovo a cui non può mancare la nostra presenza.

Queste parole del poeta Thomas S. Eliot interpretano bene quanto ci attende:

«In luoghi abbandonati
Noi costruiremo con mattoni nuovi
Vi sono mani e macchine
E argilla per nuovi mattoni
E calce per nuova calcina
Dove i mattoni sono caduti
Costruiremo con pietra nuova
Dove le travi sono marcite
Costruiremo con nuovo legname
Dove parole non sono pronunciate
Costruiremo con nuovo linguaggio
C’è un lavoro comune
Una Chiesa per tutti
E un impiego per ciascuno
Ognuno al suo lavoro».

Thomas E LIOT , La Rocca, Coro I

Possiamo circi l’un l’altro che le voci degli operai del coro di Eliot devono essere oggi le nostre voci.

L’immagine di un mondo nuovo come di un cantiere dovrebbe esserci cara, a noi fiorentini, mentre facciamo memoria dei seicento anni dell’inizio della costruzione della cupola della nostra Santa Maria del Fiore. Dovremo osare il futuro con la stessa immaginazione e con lo stesso coraggio di Filippo Brunelleschi e dei suoi operai. Essi non ricostruirono, ma ebbero la ventura di dover osare ciò che nessuno aveva osato. Noi dovremo ricostruire, ma non dovrà mancarci lo stesso ardimento, un progetto di una casa nuova per l’uomo, da tenere nel cuore e in cui collaborare come in un cantiere.

Così un altro poeta, Mario Luzi, celebrava nel 2000 la nostra cattedrale; anche queste parole, che egli pose sulla bocca di Santa Maria del Fiore, illuminano la strada davanti a noi:

«Vorrei essere forte
di tutti i miei slanci e di tutti i miei peccati
di tutte le mie miserevoli omissioni
e delle mie tribolate penitenze
per accogliere con fede e con speranza
questo advena, questo sopravvenuto tempo.
Viene forse duro ed impietoso a chiedere ragione
del grande patrimonio che abbiamo dissipato, viene
forse smarrito a mendicare un po’ di quella povera sostanza.
Vorrei che fossimo uniti tutti insieme, figli miei, per essere una roccia
su cui possa posare il piede
chi arriva
e prendere slancio per il volo.
Perché questo ci è chiesto,
figli miei, di crescere
nel tempo: questo ci giustifica»

Mario L UZI , Opus florentinum

Buona Pasqua dal vostro vescovo, vostro pastore, servo e padre,
Giuseppe

Firenze, 5 aprile 2020
Domenica delle Palme e della Passione

Lettera ai catechisti, animatori e operatori pastorali

Pubblichiamo la lettera dell’Ufficio Catechistico Nazionale (scarica qui l’originale in formato PDF) della CEI, rivolta agli accompagnatori, animatori, catechisti, operatori pastorali e religiosi:

Carissimi accompagnatori, animatori, catechisti e religiosi,

«è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche»

(Gaudium et Spes, 4).

Così si esprimeva il Concilio Vaticano II con parole che risuonano profetiche nel presente della nostra Italia e del mondo intero. Questa è l’identità di noi credenti: siamo portatori della luce del Vangelo in tutte le situazioni della vita.

In comunione con i Vescovi e con tutti i pastori delle nostre Chiese locali veniamo a voi in questo momento particolare: da alcuni giorni tutto è cambiato e continua a cambiare, richiedendo una capacità di adattamento sempre nuova.

Nel momento in cui ci viene chiesto di adottare comportamenti responsabili come cittadini della stessa nazione, crediamo che chi è impegnato nell’annuncio abbia una responsabilità ulteriore. In primo luogo, abbiamo il compito di diffondere il gusto della buona notizia in modo preciso e accurato, senza esagerazioni o spettacolarizzazioni. Come testimoni del Vangelo nel mondo siamo chiamati a dimostrare che in tempi eccezionali le persone speciali si manifestano facendo cose normali, come il rispetto accurato delle regole che riguardano tutti. Tuttavia, come credenti e annunciatori, possiamo e dobbiamo vivere questo ordinario con un di più di senso evangelico, che possiamo provare a tradurre con tre parole: essenzialità, interiorità e comunità.

La raccomandazione “Io resto a casa” può diventare l’occasione per ritrovare l’essenzialità nella vita ordinaria. Paradossalmente la limitazione ad alcune possibilità ci fa scoprire che tante cose non sono necessarie per una vita veramente felice. D’altra parte, sentiamo la nostalgia di qualcosa di profondo a cui non possiamo rinunciare, se non per un tempo limitato. Così, mentre i cammini formativi si sono interrotti, ci rendiamo conto che la catechesi non si limita alla preparazione ai sacramenti, ma nutre l’intera vita cristiana. Mentre ci scopriamo fragili, l’ascolto meditato della Parola di Dio ci fa riconoscere il valore dei doni quotidiani del Signore, come la vita, la salute, il cibo e gli amici.

Tra le mura domestiche possiamo coltivare anche l’interiorità. Messa da parte la frenesia, possiamo riascoltare noi stessi e gli altri in modo nuovo, per riscoprire chi siamo, cosa desideriamo, in cosa crediamo. Come credenti non possiamo dimenticare che siamo in Quaresima, quel tempo che la Liturgia ci aveva fatto aprire con l’invito di Gesù ad incontrare il Padre nel segreto (cfr. Mt 6,1-18). Restare soli con se stessi non è facile: ma possiamo rieducarci ed educare gli altri a riscoprire il silenzio come spazio necessario per ritrovare se stessi e incontrare il Padre buono, che vede nel segreto.

La solitudine fisica forzata può aiutare a recuperare anche un’idea più evangelica di comunità. Si tratta di tornare a considerare la Chiesa come la comunità spirituale dei credenti in Cristo, che nella società è lievito e sale (Mt 13,33; 5,13). Pur restando fisicamente a casa, ma senza chiuderci in noi stessi, quanti volti, quante persone, quante storie di vita tornano alla nostra mente e nei nostri cuori? Stiamo poi imparando ad apprezzare l’impegno generoso degli operatori sanitari e di tanti che quotidianamente compiono gesti in favore dei più deboli. Alla logica della paura dell’altro, il cristiano risponde con la cura personale e la preghiera di intercessione soprattutto per i più bisognosi. Questa è la solidarietà cristiana, fatta di impegno concreto, di relazioni solidali e di preghiera.

A questo proposito, non possiamo non ammettere che ci mancano le nostre celebrazioni comunitarie. I collegamenti virtuali sono utili e persino necessari: bisogna senz’altro salutare con favore e sostenere le iniziative di chi nelle parrocchie ha sviluppato strumenti come la radio, la tv o i canali streaming per far arrivare la voce o le immagini delle celebrazioni in tutte le case. Al contempo, questo ci fa desiderare ancora di più di tornare presto all’incontro personale, che è anche fisico, con l’eucaristia, centro della vita comunitaria ecclesiale e della comunione con Dio.

Proponiamo dunque alcuni suggerimenti da adattare secondo le diverse fasce di età:

  • la preghiera in famiglia può concretizzarsi come la lettura meditata lectio divina del vangelo domenicale;
  • il tempo libero può consentire di fare spazio ad alcune relazioni, soprattutto con le persone più fragili o sole, facendo sentire la vicinanza della comunità cristiana anche con una telefonata o un messaggio;
  • si può suggerire di valorizzare alcuni momenti della vita familiare quotidiana: la preghiera del mattino e della sera, la preghiera prima e dopo i pasti, la benedizione tra familiari soprattutto dei genitori ai figli;
  • aiutiamo a celebrare la quotidianità come spazio sacro di consegna e di accoglienza nei gesti semplici e domestici che dicono cura e passione. Uno spazio, in questo momento, abitato da generazioni diverse accomunate dalle stesse domande;
  • si possono preparare le famiglie all’eventuale rinvio della celebrazione dei sacramenti, rammentando che la grazia di Dio è sempre disponibile e che la vita di fede è sempre in crescita;
  • si può infine suggerire di sviluppare una creatività ludica della propria fede, ad esempio, giocando con la Bibbia attraverso la memorizzazione delle storie bibliche (in questo può essere utile il sito di BibbiaEDU), o facendo lo stesso con i Catechismi (in questo può essere utile il sito di EduCat) o con altri strumenti predisposti dalle Chiese locali.

Mentre teniamo i piedi realisticamente piantati a terra, guardiamo al domani con speranza: come sarà questo domani dipende anche dalla nostra responsabilità e creatività di credenti oggi. Mentre chiediamo la grazia di poter vivere da discepoli di Gesù questo tempo di Quaresima, camminiamo insieme verso la Pasqua del Signore per vivere finalmente la vita nuova del Risorto. Per questo vogliamo consegnare infine a noi stessi e alle persone che ci sono affidate queste parole di Papa Francesco:

«La sua risurrezione non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali. […] Nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo, che presto o tardi produce un frutto. In un campo spianato torna ad apparire la vita, ostinata e invincibile. Ci saranno molte cose brutte, tuttavia il bene tende sempre a ritornare a sbocciare ed a diffondersi. Ogni giorno nel mondo rinasce la bellezza, che risuscita trasformata attraverso i drammi della storia. I valori tendono sempre a riapparire in nuove forme, e di fatto l’essere umano è rinato molte volte da situazioni che sembravano irreversibili. Questa è la forza della risurrezione e ogni evangelizzatore è uno strumento di tale dinamismo».

(Evangelii Gaudium, 276)

La Consulta dell’Ufficio Catechistico Nazionale

Sussidi di preghiera

Pubblichiamo due sussidi di preghiera, messi a disposizione dalla CEI e dall’Ufficio Liturgico Nazionale, per promuovere un momento di preghiera per tutto il Paese: